LA STATUA DEL SANTO

Il visitatore che entra per la prima volta nel santuario di San Matteo s'accorge subito della statua lignea che guarda con occhio solenne e un pò indagatore dall'alto del suo trono di marmo. La statua fu scolpita, in duro legno di olivo selvatico, nel sec. XIII, quando sulle aspre balze del Gargano sud-occidentale non risuonava ancora l'invocazione al santo Evangelista. Raffigurava Cristo seduto in trono che mostra con atteggiamento deciso il libro della sua legge, mentre la mano destra, alta sull'omero, benedice il popolo devoto. E per oltre tre secoli continuò ad essere onorata come immagine di Cristo.

Vidit Jesus hominem sedentem in telonio, Matthaeum nomine et ait illi: sequere me.

(Matteo 9, 9)

In seguito, all'inizio del secolo XX, la statua fu guarnita di un diadema crociato d'argento, di un serto pure di argento a forma di rami d'ulivo, di una croce d'oro con laccio pendente sul petto, di un libro d'argento, donato dalla devozione di Ludovico Cocco, con su scritto Passsio Domini nostri Jesu Cristi secundum Matthaeum, da applicarsi sul vecchio libro di legno. La gente le si affezionò e nei canti proclamò che mai opera dell'uomo era stata così bella.
 

San Matteo, un bell'uomo

Abitualmente la iconografia di San Matteo si ispira a criteri di identificazione riguardanti genericamente quasi tutti gli Apostoli: corporatura robusta ma non pesante; abiti sobri ampiamente panneggiati, raccolti in vita da rude corda; caratteri somatici marcati con frequenti preziosismi descrittivi come muscolatura in vista, vene e tendini affioranti, volto scavato e tuttavia sereno, capelli e barba ricciuti e brizzolati, ben nutriti ma non folti, sguardo fermo e dolce, mani forti e dita brevi, piedi larghi, a volte con sandali.
A proposito di piedi, ricordo l'antica espressione popolare, oggi purtroppo dimenticata, piedi di apostolo per designare piedi particolarmente grandi e larghi abituati a camminare a lungo, scalzi o con comodi calzari, come appunto facevano gli Apostoli per diffondere il messaggio evangelico. Insomma: l'apostolo medio è proprio quel che si dice un bell'uomo, autorevole e ben piantato e, presumibilmente, con la voce profonda. Il colore e la foggia delle vesti degli apostoli, almeno per quanto riguarda la Puglia e in genere l'Italia meridionale, sono quelli che la tradizione dei primi sette secoli del cristianesimo ha fissato attraverso i concili e gli scritti dei Padri: tunica lunga fino al suolo, legata ai fianchi, in genere di colore verde, a volte azzurro; ampio mantello rosso. Il rosso è simbolo dello Spirito Santo che avvolge e dà nobiltà al verde povero della condizione umana.
 
A questi elementi bisogna aggiungere la penna e il libro come simboli propri degli Evangelisti. L'elemento specifico di identificazione dell'evangelista Matteo è costituito dal volto dell'uomo. Sant'Ireneo, sulla scorta della visione di Giovanni Evangelista (Apocalisse, 4,7), parla della figura umana come simbolo dell'evangelista Matteo per sottolineare l'indirizzo generale del suo vangelo dove, attraverso la genealogia di Cristo da Abramo a Davide, a Giuseppe si mette in risalto la generazione umana, oltre che divina, di Gesù.
 

Angeli in libertà

A questo punto si innestano, soprattutto per quanto riguarda san Matteo venerato nel santuario garganico, tutte le varianti che la devozione popolare, sorretta da vivace fantasia, ha inventato nell'ansia di esplicitare il ruolo evangelico di Matteo e quello di protettore delle popolazioni rurali del Gargano e della Capitanata.
 
La prima variante consiste nel trasformare l'immagine umana, simbolo canonico dell'evangelista, in angelo per rendere più evidente l'ispirazione divina del vangelo o, molto più probabilmente, per sottolineare una generica attuale appartenenza di san Matteo all'ordine soprannaturale degli angeli e dei santi. In tutti i casi la stessa figura dell'angelo subisce una ulteriore variazione: si trasforma in elemento funzionale in rapporto al ruolo di scrittore del vangelo proprio di san Matteo. L'angelo diventa l'assistente di Matteo, gli regge il libro o, molto più spesso, il calamaio. Così è abitualmente raffigurato sui santini e in genere nei dipinti e statue. In un dipinto ottocentesco conservato nel Santuario, probabile opera di Angelo Maria Villani di San Marco in Lamis, san Matteo si presenta con bianca barba fluente, già avanti negli anni, seduto, intento a scrivere il suo vangelo mentre di fronte un angioletto seminudo, reggendo il calamaio, con aria sbarazzina e leggermente sfrontata tenta di leggere ciò che il santo scrive.
 
Anche la bella statua in legno, donata da pellegrini tedeschi e austriaci nel 1986, mostra il santo in compagnia dell'angelo assistente. A volte gli angeli sono due che la devozione del popolo spesso identifica con gli arcangeli Michele e Gabriele. Nel bellissimo santino a colori stampato dalla Santa Lega Eucaristica di Milano agli inizi di questo secolo, dopo le ultime trasformazioni della statua, san Matteo è circondato da ben quattro angeli di cui i due situati al livello superiore hanno chiaramente la funzione puramente grafica di conferire profondità alla figura del Santo. Degli altri due, invece, quello di sinistra svolge la tradizionale funzione di reggere il calamaio. L'angelo di destra, invece, è ritratto nell'atto di dettare all'evangelista ciò che deve scrivere sul libro del vangelo. Il tema dell'angelo suggeritore era già vecchio poiché appariva, insieme al suo collega assistente di scrittura, sul gambo del seicentesco reliquiario argenteo del Dente conservato nel santuario.
 

Ti chiami Mattiuccio, come un cavallo

Una curiosa e rilevante variazione al tema del simbolo rappresentativo di san Matteo, tutta dovuta alla capacità attualizzante della fantasia popolare, è quella del medaglione del fastigio posto sul tempietto dell'altar maggiore dove è ospitata la statua del santo. L'ignoto lapicida ha ritratto il santo di profilo mentre guarda, diritto negli occhi, quello che ha tutta l'aria di essere la sua nuova presentazione simbolica in area garganica: un cavallo. L'iscrizione posta alla base ricorda che il tempietto fu fatto a devozione di Domenico Gasparro di Cerignola nel 1914. I devoti di Cerignola costituirono, per così dire, il particolare humus culturale entro il quale la nuova raffigurazione prese forma; gli elementi oggettivi, però, erano già in qualche modo presenti. San Matteo, infatti, per il complicato e non sempre decifrabile gioco di estensione del patrocinio, era ab immemorabili ritenuto protettore degli animali domestici e in particolare dei cavalli.
 
La genesi di questo patrocinio è conosciuta. Già all'inizio del sec. XVI i devoti salivano al santuario per invocare la protezione del santo contro i pericoli della rabbia canina. Le immagini popolari, sotto la figura del Santo assiso solennemente sulle nubi, mostravano sempre il profilo di un malcapitato intento a difendersi come poteva dagli assalti di un cane rabbioso. In seguito il santo fu eletto a generico protettore contro tutte le offese ricevute dagli animali domestici e poi a protettore degli stessi, soprattutto di pecore, buoi e cavalli. Intorno a questo tema si è sviluppata una notevole quantità di usanze e di letteratura orale.
 
La spinta finale verso lo stravagante accostamento "San Matteo - cavallo" fu fornita da un santino raffigurante un altro evangelista: San Luca ritratto secondo i canoni tradizionali accompagnato dalla rituale immagine del bue, ricordo dell'episodio iniziale del suo vangelo: il sacrificio di Zaccaria; tuttavia, nel solenne cartiglio dorato posto sotto la figura del santo si leggeva "San Matteo Evangelista". Tanto bastò perché il povero lapicida si sentisse autorizzato a "correggere" l'incauto stampatore della Santa Lega Eucaristica di Milano, ricordandosi che al suo paese san Matteo era soprattutto protettore dei cavalli; la sua immagine troneggiava sulle mangiatoie e nelle stalle e il suo nome era imposto, oltre che agli uomini, anche ai puledri e a tutti i cavalli del santuario. Da ciò il facile motteggio a chi portava il nome di Matteo ti chiami Mattiuccio come un cavalluccio.
 
La storia dell'immagine di san Matteo nel santuario garganico, è la storia povera di un popolo che ha trovato nella fede e nella devozione un motivo di riscatto perché Dio non dimentica mai i suoi poveri. I poveri, a loro volta, non sempre riescono ad esprimersi con parole acconce e confondono volentieri grammatica e sintassi. Per loro fortuna, neanche Dio è andato mai a scuola!